
Cinema Mundi
(2011)
Poesie di Vincenzo Incenzo
ti parlo di un violino sott’acqua,
e di una nuvola appoggiata al paradiso
del mio essere sempre in un non luogo
magari nella tonica dei delfini urlanti
o nell’arteria di una città dannata
ti parlo di un valore assoluto e nascosto
e ho paura che l’inchiostro asciughi
senza averti prima ferito
“Cinema mundi” di Vincenzo Incenzo non ha bisogno di una prefazione, una postfazione e nemmeno un commento. Ogni lettura doppia che si sovrappone alla sua scrittura e pretende di veicolare il lettore è un’intrusione superflua, nella migliore delle ipotesi; dannosa, nella più probabile. Perchè la scrittura emozionale di Incenzo, tesa, densa, eccitata, a volte concitata, non necessita di mediazioni, va diritta al cuore e alla mente di chi legge. Coinvolge.
La prima stranita sensazione che ricavo dalla lettura è questo duplice situarsi di Incenzo tra il cielo e la sua camera; il cielo in una stanza, diremmo con le parole splendide di una canzone celebre (e Incenzo scrive canzoni e usa magicamente le parole e gli accostamenti). Vedo un intreccio fatale tra solitudine domestica e viaggio globale: tra le pareti di una casa e le pareti continentali del pianeta, tra l’Africa e il Sud America, la Cina e gli States.
La seconda impressione che colgo è un conflitto radicale tra Amore e Tecnica. La tecnica, facendosi sistema, uccide la persona e aliena l’umanità, sradica e offre solitudine e nichilismo, modifica il dna e ci riduce a non essere padroni più di niente, neanche delle più intime e interiori proprietà che attengono all’io e al noi. Solo l’amore sembra opporre argini di resistenza, tracce di vita, tentativi di cavalcare la tigre della macchina.
C’è nelle pagine di Incenzo l’ebbrezza di annientarsi, l’orgoglio umano che a differenza di ogni altro vivente, siamo liberi di diventare nulla. Ma poi è da quel nulla che trae orrore la vita, è lì che sorge l’horror vacui perchè è costitutivamente incompatibile con l’essere e con la realtà del mondo. Incenzo si domanda, dandosi implicitamente una risposta negativa: il nulla vale meno dell’eternità? E se vi coincidesse? Verrebbe subito voglia di rispondere. Ma poi approfondendo la domanda, ti accorgi che forse l’errore sta tutto nel verbo usato, valere: no, non si tratta di valere o di valori, si tratta di essere. Non è una questione etica, direbbe Heidegger, è una questione ontica, riguarda l’essere, non i valori. E l’essere non si misura con il metro del tempo o dell’eternità.
Noi non riusciamo a pensare senza l’essere, noi non riusciamo ad essere compiutamente niente. Qualcosa d’inevitabile ci conduce all’essere, a un essere, a una costellazione di esseri. E lì riaffiora, anche nell’ itinerario della mente verso il nulla di Incenzo, la persistenza dell’amore, il miracolo della nascita, la dolcezza dei ricordi, la nostalgia di vivere in un altro tempo, la ricerca di una vita ulteriore e l’utopia (o nutopia) di un mondo migliore.
Marcello Veneziani